Secondo una ricerca dell’istituto SHRM, i dipendenti che attraversano un processo di onboarding ben strutturato hanno il 58% di probabilità in più di restare nella stessa azienda nei 3 anni successivi all’inserimento.
Così, il processo di onboarding inizia proprio dal non dare per scontato alcuni fattori di base.
Un primo passo quasi scontato, ma non per questo meno importante, è raccogliere e, in alcuni casi, memorizzare le informazioni personali dei candidati, includendo quelle (se rilevanti) sullo storico lavorativo e personale. Nel particolare:
Nomi
Contatti
Ruolo
Dipartimento
Data ufficiale di inizio collaborazione
Inoltre, specialmente per i ruoli IT o quelli che implicano l’utilizzo specializzato di uno strumento, è bene parlare fin da subito del tipo di tecnologia che il candidato userà, sia a livello di hardware sia di software.
Infine, durante i primi giorni, è bene fare in modo che le nuove risorse conoscano il management e in particolare il manager IT per le posizioni nel tech, oltre che avere assegnato un peer di riferimento.
Assicurare una trasmissione iniziale di mission e vision dell’azienda è uno degli elementi fondamentali, che può evolversi e continuare potenzialmente anche per un lungo periodo.
L’Oreal si è distinta nei suoi processi di onboarding con la creazione del progetto L’Oreal Fit, diffuso in 30 divisioni internazionali e secondo il quale i dipendenti possono tenersi aggiornati sulla cultura aziendale tramite un’App. Inoltre, sono caratteristici di questo programma alcune pratiche comunemente funzionali per stabilire e rinforzare la connessione con il personale:
Sessioni di discussioni dove le differenze di gerarchia vengono rimosse
Training e sessioni di apprendimento durante l’orario di lavoro
Mentoring individuale, shadowing e disponibilità di supporto HR
Apprendimento pratico con visite nei centri di produzione e distribuzione e product experience
Trovare candidati specializzati in IT non è facile, e questo è un dato di fatto1.
Se a questo si aggiunge un processo di onboarding influenzato da opinioni personali, è molto probabile che questo danneggi il progetto di inserimento e, in senso lato, l’immagine complessiva dell’azienda.
Quando si parla di rimozione dei bias s’intende il cercare di rispettare il più possibile le peculiarità culturali, socio-economiche, di età e di genere della risorsa che si sta inserendo.
Questo concetto è legato a tutti i settori, e dev’essere tenuto a mente specialmente nelle grandi organizzazioni, dove le interazioni con il candidato sono tante e il rischio che l’onboarding diventi caotico è maggiore.
La rimozione dei bias è quindi strettamente legata all’inclusività e all’estensione delle pratiche di Diversity e Inclusion (D&I) in azienda.
L’inclusione in azienda non è solo un elenco di requisiti che HR e management devono rispettare e promuovere.
Si tratta di creare un contatto a doppio senso tra organizzazione e dipendenti il quale, nonostante possa costituire un investimento in termini di tempo e risorse, è un fattore che ha oggi influenza concreta sui processi di assunzione e sulla crescita del business in generale.
Per scoprire come le HR possono progettare e implementare un piano di D&I in azienda, scarica la guida SourceMate
È bene rendere noti fin da subito ai nuovi dipendenti i piccoli successi e le iniziative aziendali prese in questo senso, ma non solo.
Mostrare la stessa multiculturalità e diversità che si sta creando (o che è già parzialmente presente) assumendo persone di ambiti differenti è un modo concreto di mostrare il rispetto effettivo di quanto divulgato.
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1Studio di Unioncamere in collaborazione con Anpal, secondo cui le aziende hanno dichiarato che ci sono difficoltà di reperimento per il 47,2% di professioni scientifiche.